Tracce impolverate

12 novembre 2008

La mia medicina senza controindicazioniiiii!

Sciarlòt, Sciaròòòòlt, non capisco niente quando sei con me, ma che giorno èèèèè, mi mandi in tilt come un videogeiiiiiiiiiiiiim!
Niente, volevo rendervi partecipi di cosa stava passando (passando? uhm... cantando? Allietando? vabbé, quello) in questo momento su Radio Suby, la radio adatta per quando si fanno le pulizie.
Ti ritrovi a sculettare con lo scopettone in mano, come una vera massaia che si rispetti.
Sedere di qua, sedere di là, mossetta, giro su te stessa, scopettone e goo!
Tun cià, tun tun cià, a tempo! Cacchio, sto perdendo il fazzoletto in testa!
Tun cià, tun tun cià!

Eccolo qui l'utile, nonché doveroso, post!
Sono malata, tanto malata. E quando sono malata sono rognosa, tanto rognosa, come un cane sterilizzato o come una vecchia acida a cui l'antenna ha smesso di funzionare proprio mentre Rìg diceva a Brùc -nella puntata numero 3438746387- che tra loro non può più funzionare, perché fanno vite troppo diverse e perché lei non si veste secondo lo stile della Forrester, ma più come una donna della For(r)est-a. Uga uga!
Insomma, sto familiarizzando di nuovo col mocciolo, con i Clinecs e compagnia bella, e con quel mal di testa che non ti molla nemmeno un attimo e che fa... tun cià, tun tun cià!
Così sono qui, tutta sola e abbandonata, con il mio Frullì alla pesca (ma, attenzione: il trentaquattropercento è a base di pesca, tutto il resto è uva, banana e succo di mela. Insomma sa proprio di pesca, si.).
Dicevo. Il Frullì alla pescauvabananamela e i crakerss alle olive. Sono loro i miei unici amici, in questo momento.
La casa del Grande Bordello è silenziosa, se non fosse per Suby tun cià e bla bla bla, e l'unica cosa divertente della giornata è stata sistemare gli stendini con un attacco di arte. Ho fatto una specie di labirinto fatto di panni stesi -perché fuori piove- e sto aspettando che Arianna riesca ad uscire e a scappare dal Minotauro (era lui? Le mie reminescenze classiche ultimamente fanno acqua da tutte le parti).
Capirete anche voi che la mia situazione pisssicologggica attuale non è delle migliori, fa acqua da tutte le parti pure lei, per inciso.
Ho deciso di andarmi a prendere la coperta di pàil e mettermela addosso tipo uomo della foresta (per l'appunto) e onorare, così, la mia nomea casalinga di "Miss Copertina", la massaia di tutte le massaie. Dopodiché andrò a farmi un solitario.


Questa si che è vita, no?
Fine utile post, scribacchiato giusto per fare numero (ma numero de che?).

Pitupitumpàà!



20 ottobre 2008

Pomeriggio caraibico (maddeché).

Intorno a me (no, non è la pubblicità della Vodafone, niente IlariBlasonata): marmellata fatta in casa di albicocche (graziemamma!), bicchiere pieno di un composto nauseabondo che nemmeno il Mignolo col Prof sarebbero mai in grado di riprodurre (leggi= sigarette in bicchiere pieno d'acqua, dù iù nò? Da un momento all'altro mi aspetto che bussino alla porta i Nani della fossa biologica), un mare -caraibico, per inciso- di scartoffie, la foto più brutta che abbiano mai potuto fare a Madmuasél Toffoli, altresì detta la Miss-pacco il deretano 'co sti cavolo di Sogni Meccanici, le bolle di sapone al cianuro e... rullo di tamburi, siore e siori: il Didò!
Ebbene si, dinnanzi a me troneggia la scatola multicolor del Didò (da non confondere con Dodò, dell'alberoazzurropostofelice) con nientepopò(cacca)dimenoché le formine di Cars! O meglio, UNA formina di Cars, perché quelli della Fila per sette euro non regalano niente.
Il Didò ha fatto la sua apparizione in un pomeriggio in cui, come qualcuno, stavo coltivando i miei pessimismi tumorali. In preda alla disperazione più cieca, alla Orlando furioso stàil, esco di casa con l'intenzione di spendere i pochi eur(i) che si aggirano paciosi nelle mie tasche, al calduccio.
Cammina cammina mi imbatto in un negozio di giocattoli: "Ufologgggico! Voglio il pinocchio di legno versione mignòn da mettere in camera!" (non fate domande.)
Entro col sorriso a cinquecentoventicinquemilasettecentotrentamenotredenti (i denti del giudizio estirpati) e sicura di me: "Avete i pinocchi?" (non trovate sia una domanda intelligentissima?).
La commessa infrange i miei sogni di revivàl fanciullesco, dicendomi che qualsiasi giocattolo di legno sarebbe dovuto arrivare a breve.
Chissenefrega del breve! Io lo voglio ora! Voglio il mio Pinocchio mignòn!
(no, non gliel'ho detto).
Superata la delusione con un Clìnecs, mi aggiro con fare interrogativo tra gli scaffali, imbattendomi in figure tremende: noddico, i Go(r)miti ancora li smerciano? Chi è quel genio del marchétìn che ha progettato degli omini pieni di spuntoni con l'aria di chi- se potesse muoversi davvero- ti ucciderebbe traforandoti la crapa?
Eppoi la Barbie fotomodella, con tre taglie in meno del normale?
Già la Barbie di suo potrà pesare 45 chili bagnati, ora si mettono a produrre anche un palo della luce travestito da Cheìt Moss!

Doveroso spazio Pubblicità Pro-gresso.

Appello alla Mattel: MATTEL'ha mai detto nessuno che le bambine devono crescere spensierate, correndo tra i prati, raccogliendo margherite, schivando cacche di mucche al pascolo? Un palo della corrente vestito con un tubino leopardato è diseducativo tanto quanto una foto di Maria DeFilippi struccata o Costanzo in sciòrt, Mattel!

Fine doveroso spazio Pubblicità Pro-ingresso.

Bene, tuttò ciò per arrivare al Didò.
Già il nome mi provoca un turbinio lungo tutta la colonna vertebrale.
Di-dò. Pura poesia ermetica, ermetista, ermetiana. Quella.
Lo vedo lì, solo soletto sullo scaffale, abbandonato al suo triste destino (seccarsi) e, spinta dal mio ego profondamente orsoliniano, lo acchiappo.
Didò, non sei più solo!
Vado alla cassa, il mio amico mi costa ben 7 euro (più 50 cents di bolle di sapone al cianuro), ma non importa, è per una buona causa: fare piccole lumache, farfalle e banane semi sbucciate, spiattellarlo come faceva nostra nonna con la pasta degli gnocchi, tagliuzzarlo a rondelle e farci i tortellini, mescolarlo con... (voce fuori campo, lontana).

Morale: la mia permanenza a Roma sta dando i suoi frutti. Mi sto rincoglionendo.

13 ottobre 2008

...A volte ritornano (quanta beltade!).

Vedete cosa significa usare due passuor' per tutto ciò a cui si è registrati su questo sconfinato mondo uebbico (fecciabuc, lasteffemm, maispeis e bla bla bla, un vero cantiere navale)? Significa che dopo mesi e mesi di latitanza sono andata sul sicuro, digitando la parolina magggica senza indugio, ed eccomi qui ssssiore e ssssiori! Si torna su questi lidi.
I più scaltri di voi (ma voi chi?) avranno intuito (ma quando?) che per tornare qui ho davvero delle cose importanti da dire (ma de che?), e la loro importanza (pfui) mi spinge a rivelarle in mondo visione (pfui due).

Da oggi, trediciottobreduemilaotto, comincia la mia nuova vita!
No, non mi sono fatta una rinoplastica, non ho tolto le zampe di gallina né mi sono gonfiata le labbra tipo Lecciso stail.
Semplicemente (semplicemente eufemisticamente parlando) mi sono trasferita a Roma! Ebbene si, io che dicevo che la capitale non mi avrebbe mai avuta ho dovuto cedere all'obbligo di frequenza delle lezioni universitarie.
E così eccomi qui, tra uno specchio krabb, un portatutto Jall, le sensualissime tende Sarita e il lampadario pallone di carta di riso.
Fuori un sole da selvaggio uest e di fronte un appartamento di fan di Madonna che cantano esagitati "givi tu mi, yeah" per tutto il giorno tenendosi con le mani i pantaloni.
E intanto ascolto Strawberry swing dei Coldplay, che sa tanto di pomeriggi d'estate con la testa fuori dal finestrino della macchina in corsa.
A breve, non appena avrò montato il dettaglio più importante -una mensola- farò una foto al nuvo lùc della stanza, per il famigeratissimo "prima/dopo".

Stei tuned pipòl, e givi tu mi, iéa!


5 maggio 2008

Che chiavica.

Cari lettori miei, son proprio una chiavica. Questo blog sta esalando l'ultimo respiro, poverino, perché -in sostanza- non c'ho proprio la voglia né la forza di star qui a scrivere sempre le solite minchiate partorite dalla mia mente.

Vi alletterò, ordunque, con l'ultimo sogno/i fatto/ i stanotte:

Prima scena: sono alla stazione Termi-ti e aspetto il ciuf ciuf che mi porterà alla méson. Quello arriva, con quel fascino che solo i treni conservano (puah, 'ste vecchie cariatidi), noi siamo tutti in attesa. I passeggeri scendono e noi prendiamo il loro posto. Mi accomodo su una poltrona facendo attenzione alla scabbia, all'accaivvù e compagnia bella, quando una voce dice: "Scendete, c'è da fare la manutenzione treno". Ok, scendo. Scendiamo tutti, lasciando -chissàppperché- tutto a bordo. Ad un certo punto il treno comincia a muoversi e Puff! Va via come un razzo! (e già da quì, conoscendo i tempi tren-italici, si intuisce che sia un sogno).
Dicevo, il treno se ne va con tutte le nostre cose dentro! Una sensazione come quella dell'ultimo rigore della finale dei mondiali mi invade, e comincio a correre. Si, dietro il treno. E questo non andava dritto, ma faceva dei giri concentrici. Alla fine, con altre due persone, apro le braccia e aspetto che il treno freni. "Oddio, ma frenerà?". Giusto in tempo, mi da solo un colpetto alla rotula e una botticina nella crapa, ma son viva. Scende un pakistano, o chi per esso. E io lo prendo a botte.
E quì sorge il primo dubbio: vedere alla tivvù la Santanché può provocare cose del genere? Non riesco ad accettare la scomparsa della sinistra e mi accanisco sugli immigrati per uniformarmi?

Seconda scena: cambio di location. Villa enorme tutta bianca, di quelle trashisssime che solo le star Ollivudiane possono comprarsi. La caratteristica di questa casa è che è sul mare, ma non è che ci si affaccia, no, ma ci sta proprio dentro. Le onde arrivano in giardino, e si infrangono sui gerani. Io non sono io ma una signora nemmeno tanto attempata, ancora rugosamente affascinante, che aspetta il suo amore perduto. Ma dal mare arriva solo il rompimelones del figlio, con una barchetta di legno, che attracca su di un molo (sempre nel giardino, ovvio) e comincia a parlarmi.
Nel frattempo il maggiordomo -ebbene si, c'è anche lui, vestito come Ambrogio dei Ferrero Rocher- mi chiama per dirmi che il mio bagno è pronto. Niente latte d'asina, ma una comunissima doccia. Mi metto sotto la doccia e comincio a morire dal terrore. La cosina (passatemi il termine, non so come si chiami) da cui fuoriesce l'acqua è altissima, e il getto potente, e mi fa tipo effetto grandine su testa pelata. Comincio ad urlare ma nessuno mi sente. Ambrogio sembra scomparso. E in tutto questo ho il terrore di bagnarmi i capelli. Poi il vuoto.

Secondo dubbio: Devo prendermi maggior cura dei miei gerani? O devo solo farmi una vacanza, magari in montagna? Ai posteri l'hard-ua sentenza.


In tutto questo, l'unico aggiornamento degno di nota (immaginate il resto) è che mi sono operata ai denti del giudizio (ben tre) e l'unica cosa che ricorderò, a parte il tremendo estirpamento dei denti con la pinza da idraulico, sarà la fame. Una fame cieca, incontrollabile, che si è impossessata di me fino a rischiare di farmi impazzire (completamente, gne gne). Per giorni e giorni pappette, minestrine, carne frullata, omogeneizzati di pollo e tacchino, mela frullata. E non necessariamente in quest'ordine.
In tutto questo ho ancora i punti, che ormai custodisco gelosamente nella mia bocca con affetto, e che toglierò l'otto maggio alle ore sedici. Ma pensiamo ai wafer alla nocciola, adesso (si perché alla fine ho buttato nel viccì la carne frullata e mi sono data a qualcosa di solido. Oh yeah. Niente malpensanti, grazie).

Non mi abbandonate, voi pochi che siete rimasti! Vado dai biscotti. Buonanotte!

31 marzo 2008

Post post viaggio.


Ariecchime uebnauti.
C'ho messo un pò a ritrovare le tracce e riprendermi dal mio turist-aggio in Francia, e tutt'oggi ancora mi fermo ogni tanto e penso: "Ma che acciderboli impanati ci faccio qui, in questo buco di turca?".
Dicono che i ritorni siano sempre -o quasi- così, ma metteteci l'essere stata da dio, tutto quello che di bello ho potuto vedere (tralasciando le solite accoppiate TUR IFFEL barra LUVR barra SCIAMPS-ELISE' e bla bla bla) e COME vivono lì... beh, tornare in questa topaia piena di burini mi ha dato un pò lo scompenso.
Si, ho detto proprio TOPAIA e BURINI, perché in confronto ai francesci siamo i Watussi dopo il cagotto. Loro non urlano, sussurrano. Se ti urtano in metropolitana ti ammaliano con un "parrrrrrdon" e tu sei lì che dici "Mannòòò, non ti preoccupare, urtami ancora! Urtèmmmuàà". Se lo fanno qui è pure colpa tua che stavi in mezzo: "Aooo spostateeee!".
NON ho visto nessuno con la baguette sotto l'ascella, segno di una probabile leggenda metropolitana. Sul portone non hanno il citofono, ma una combinazione numerica da digitare: se non la sai (perché evidentemente non sei conosciuto dal padrone di casa) non entri, t'attacchi.
Tradotto in spiccioli significa: niente testimoni di ge(n)ova che suonano per portarti il messaggio di pace, niente pubblicità dei centri dimagranti sobrino, niente rotture. Il codice lo si da solo a chi si vuole, gli altri RAUS.
Certo, se poi sei il padrone di casa e torni dopo una serata passata a bere litri e litri di birra, sidro e shampagn (leggi: coma etilico) allora lì sono cazzi, sfido a ricordare il codice. Ma è geniale lo stesso.
Insomma, Parigi è superlativa. Si respira un'altra aria, tutti gironzolano tranquilli tra le viuzze, fermandosi sul lungo Senna a guardare le bancarelle che NON vendono occhiali farlocchi, magliette con scritte tipo "VERSACE n'artro litro" o "poooooo poooo popopo poooooooooo", ma libri, romanzi, vecchi giornali anni '60, poster cinematografici eccetera. Ovunque puoi affittare biciclette (e pagare con il bancomat), e girare per i quartieri.
Ci ritornerò sicuramente, vista la fila che c'era ai vari musei (LUVR in primis) e che non mi hanno permesso di visitare nulla in quel senso.
Quasi quasi mi trasferirei domani.


3 marzo 2008

Non qui, ma qui




Come non utilizzare il titolo "Non qui, ma qui" per iniziare questo post ritardante (zozza!) e ritardatario.
Insomma: non sono qui, ma sono qui.
In realtà non lo so nemmeno io dove sono.
Persa nei pensieri, prima, nelle melodie, dopo. E nel mentre persa in mezzo alla burocrazia della vita (vedi: visite mediche, università e bla bla bla...bla.)
La mia traccia viva sta diventando sempre più un ossimoro (per chi non si ricordasse cos'è l'ossimoro: animale dai denti lunghi e bianchi (due) che si prodiga a costruire dighe nella Pianura Padana).
Dicevo, la traccia viva e l'ossimoro. Tutto si può dire meno che sia viva. Ma la costanza non è mai stata il mio forte (forse sono troppo forte io, per Costanza).
Il fatto è che vorrei scrivere sempre cose intelligenti e simpatiche, ma finisco con l'annoiarmi da sola mentre lo faccio, e mi butto sul letto a leggere un DAILAN Dog. Gente, lui si che è un uomo con i controCo-stanza. Biliv mi.
Ehhhhhhhhh insomma. Cosa dire che possa interessare il popolo internettico che mi segue con affetto e devozione (m'andò?):
Parto gente! Fra 10 giorni parto! Me ne vado in quel di Paris, la città delle baguette (zozza!) al sapor d'ascella, dal dialetto scatarroso e dai nasi all'insù (ecco a voi la parata dei luoghi comuni, un pò come per parlare dell'Italia: pizza, fichi, mandolino.. e mafia - niu entri dal 2007).
Ecco, forse ho trovato dove essere proiettata: a Paris (non Hilton, per inciso), sulla senna, sottobraccio ad un bel Parigino con l'ascella profumata e senza catarro (ma col naso all'insù) che mi sussurra: "tù è 3 jolì madmuasel, je tèm!".
Oppure in un attico al primo piano (sipperchè a Parigi mica sono così scontati) che mangio formaggi puzzolentissimi con il miele di Acacia e di Pioppo (sull'ultimo non son sicura che esista) e bevo litri di vino DOP, DOC, DOG (é inutile, ho sempre lui in mente!) e se ve ne vengono altre aggiornatemi.

Coff coff. Dalla regia mi fanno segno: "Aooo tajaaa".

Arrivederci webnauti.